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Ricordando Fisher. Verso una politica psichedelica




Questo testo rielabora i contenuti della talk di Alessandro all’incontro Ricordando Fisher, avvenuto il 17 marzo 2023 a Torino presso la Casa del Popolo Estella. Si ringrazia la Casa del Popolo Estella per l’invito, Serena Doe Mazzini per il dialogo e Anna Fasolato per il costante supporto. 


Ricordare l’eredità di Mark Fisher non è un compito facile nè uno per cui mi sento particolarmente preparato.  Si tratta di tirare le fila di un pensiero che è sfaccettato e complesso, ben di più di ciò che ci potrebbe far pensare una lettura superficiale delle sue opere fondamentali. Mi riferisco naturalmente alla tendenza, molto italiana, di leggere solamente Realismo Capitalista, il libro più noto dell’inglese, portato in Italia da Not con una grande operazione editoriale nel 2017. Il volume contiene un’amara diagnosi dello stato della società inglese intorno alla fine degli anni ‘00: un’isola dove la vita sociale è dominata in ogni suo aspetto dal mercato e dove non esiste più un’alternativa, nè politica nè sottoculturale, a questo predominio. È giusto fare un appunto qui: Mark Fisher, così come il giro a lui legato, soffre di un palese anglocentrismo e nelle sue analisi fa fatica a vedere oltre il mondo anglofono. A mio parere, vale per Realismo Capitalista così come per le sue opere successive. Teniamolo a mente.


Gli effetti di Realismo Capitalista sugli student* di filosofia

D’altra parte, quello che apprezzo molto dell’invito di oggi, è il tentativo di avvicinarsi ad un altro angolo del pensiero di Fisher: la fase che precede il suo tragico suicidio del gennaio 2017 e che si articola nel suo ultimo corso per la Goldsmith e negli appunti per il suo libro incompiuto, Comunismo Acido. Questi testi sono stati raccolti nel volume Desiderio postcapitalista uscito in Italia per Minimum Fax nel 2022. Partiamo dal nome Comunismo Acido per inquadrare questa fase del pensiero di Fisher. Già a partire dal nome, possiamo capire dove Fisher vuole andare a parare: il critico inglese, teorico del post-punk e della jungle, poco prima di morire, si rivolge agli hippie, alla controcultura del ‘68 e ai sogni di Woodstock. Questa è una mossa che causa stupore in tutti coloro che conoscono i gusti musicali e culturali dell’inglese. Come ci ricorda la prefazione al volume di Minimum Fax, scritta dal suo ex-studente e studioso Matt Colquhon (noto ai più come Xenogothic):

«In precedenza Fisher aveva guardato all’eredità della controcultura con occhio molto poco benevolo. Una volta, per esempio, aveva dichiarato sul suo blog k-punk che gli hippie erano «un fenomeno essenzialmente legato ai maschi della classe media» e caratterizzato da un «infantilismo edonista». A suo modo di vedere, la tipica trascuratezza, «gli abiti sciatti e sformati degli hippie, il loro aspetto trasandato e i loro confusi discorsi fascio-psichedelici sulla droga esibivano un disprezzo della sensualità».

E ancora: 

«Gli hippie avevano la colpa di arrendersi passivamente e con noncuranza al principio di piacere, e «il prezzo di tale “felicità” – uno stato di inerzia emotiva da automi festosi e svuotati – era il sacrificio di qualsiasi autonomia»

Privilegio della vita mentale a scapito di quella carnale, atteggiamento fideistico nei confronti delle sostanze, appiattimento della politica su un piano emotivo. La critica di Fisher agli hippie è aspra e condivide dei punti con la critica che veniva fatta ‘da sinistra’ ai movimenti controculturali, incapaci di canalizzare le loro energie verso un cambiamento politico reale. Siamo molto lontani dalle ‘avanguardie di strada’ come i rave e i punk, tanto cari a Mark e ai suoi colleghi critici musicali come Simon Reynolds o Adam Harper.

Ma ne siamo veramente sicuri? Mark Fisher, verso la fine della sua vita, inizia a dubitare di questa convinzione. Come ci ricorda Colquhon, egli non ammorbidisce mai questo giudizio ma inizia a vedere oltre, a cercare qualcos’altro in questa sottocultura per lui così innocua. Egli nota dei germi di desiderio postcapitalista. Banalmente, gli hippie tentano già di superare nel presente i limiti della società capitalista. Non attendono la rivoluzione, ma inventano nel presente nuove forme di vita e di autonomia. In quella sottocultura, si muovono idee che cambiano la coscienza collettiva e idee di cui la classe dirigente ha orrore. 
 
 
Convention Democratica del 1968. Gli hippie cominciano a far paura

La rivoluzione culturale che può aprire la strada a quella politica. Questa è la verita che Fisher riscopre nei movimenti del ‘68 e che vuole riattivare scrostando la memoria storica dalle forme di mercificazione in cui è caduta. Make hippies dangerous again. In questa operazione, Fisher non può che interessarsi di nuovo alla psichedelia, che ha un ruolo fondamentale nel terremoto cognitivo di quegli anni.

Cerchiamo di fare chiarezza. La psichedelia diventa un oggetto di studi interessante quando abbandoniamo la sua “familiare forma estetica” (di nuovo Colquhon), composta di magliette tie-dye e concerti dei Grateful Dead, e ci avviciniamo alla sua verità più profonda, alla sua “funzione dormiente”. Il termine stesso, che viene dal greco, significa “ciò che manifesta la psiche”. La psichedelia ha catalizzato e ha manifestato i germi di desiderio postcapitalista della cultura hippie, ha fatto capire a una generazione intera che non era più accettabile vivere come si era vissuti fino ad allora. Le idee stesse della psichedelia sono state viste come pericolose e hanno subito un processo violento di repressione, basti pensare al trattamento che ha subito un personaggi come Timothy Leary.

A mio parere, l’interesse di Fisher si può riassumere in una serie di quesiti. 

Un esempio classico di come si possano interpretare politicamente le tendenze inconscie delle masse ce lo fornisce lo stesso Fisher. L’idea di autonomia e il rifiuto del posto fisso in fabbrica sono stati stravolti dalla destra neoliberale e sono state tradotte nella precarizzazione del mercato del lavoro e nell’imprenditorialità diffusa. La sinistra ha già fallito una volta a capire quello che stava succedendo nella coscienza collettiva e il tardo Mark Fisher - grande interprete di tale fallimento e dei fantasmi che esso genera - si convince che è proprio da quell’errore che si deve ripartire per poter comprendere i desideri del presente. 

Cercherò ora di articolare sommariamente alcuni punti in cui si può articolare la proposta di un comunismo acido. 

Empatia Radicale


Gli psichedelici sono noti per aumentare l’intensità delle sensazioni di chi li prova. Aldous Huxley aveva parlato di porte della percezione che si aprono ed esiste una  letteratura sia scientifica sia poetica sulla potenza di questo sentire nuovo che si rilascia attraverso queste pratiche. C’è una intervista di Gilles Deleuze con l’amica Claire Parnet in cui il filosofo francese connette l’idea di percezione espansa con l’essere di sinistra:

«Se mi si chiede come definire la sinistra, essere di sinistra, direi due cose. Ci sono due modi. E anche qui è innanzitutto una questione di percezione. C’è una questione di percezione: cosa vuol dire non essere di sinistra? È un po’ come un indirizzo postale. Partire da sé, la via dove ci si trova, la città, lo Stato, gli altri Stati e sempre più lontano. Si comincia da sé nella misura in cui si è privilegiati, vivendo in paesi ricchi, ci si chiede: come fare perché la situazione tenga? […] Essere di sinistra è il contrario. […] Vedi prima di tutto all’orizzonte, e sai che non può durare. È impossibile che questi miliardi di persone che crepano di fame… Può durare ancora cento anni, non so, ma non si deve esagerare, è l’ingiustizia assoluta. Non è tanto in nome della morale. È in nome della percezione stessa. Se si comincia dal limite, ecco, si è di sinistra. E in un certo modo si aspira… si capisce che sono quelli i problemi da risolvere. Essere di sinistra è sapere che i problemi del terzo mondo sono più vicini a noi dei problemi del nostro quartiere. È veramente una questione di percezione, non di anime belle, no. Prima di tutto è questo per me, essere di sinistra».

In questa risposta di Delueze, viene già tracciata la connessione che vedrà Fisher trent’anni dopo. Una volta che la propria percezione viene espansa si diventa maggiormente consapevole del brulicare di altre menti e altre prospettive tutto intorno a noi. L’empatia radicale e cosmica della psichedelia è il prodromo cognitivo alla coscienza dell’oppressione, sia essa di classe, di genere, etc. Quando sento in maniera diversa, sviluppo coscienza di chi sono, di quale posizione occupo nella società e di quale ruolo mi trovo a giocare nelle dinamiche di potere.
Fisher ne parla esplicitamente in Desiderio postcapitalista nella lezione n°3 ‘Dalla Coscienza di Classe alla Coscienza di Gruppo”. Qui il critico inglese fornisce un’interpretazione psichedelica di un testo del filosofo ungherese György Lukács sulla formazione della coscienza che collega il suo marxismo con l’esperienza femminista dell’autocoscienza. La coscienza dei gruppi subalterni è innanzitutto la consapevolezza dei meccanismi (culturali, politici, esistenziali) che producono subalternità, dei meccanismi che normalizzano il gruppo dominante e creano un senso di inferiorità in quelli subalterni. In seconda battuta, però, è anche coscienza della forza del gruppo subalterno, forza che dipende dal livello di consapevolezza raggiunto. L’autocoscienza femminista è un esempio di questo processo conoscitivo. 

Tale processo non deve però fissarsi nella formazione di identità chiaramente distinte e in contrasto tra loro – questo è quello che Fisher criticava nel suo saggio contro “le politiche di identità”, chiamato Uscire dal Castello dei VampiriQuello che Fisher desidera è una creazione di coscienza che sia un processo in divenire continuo, quello che già Lukacs chiama «storia dell’ininterrotto sovvertimento delle forme di oggettualità che plasmano l’esistenza dell’uomo». Se pensiamo ai modi in cui i social media, per esempio, mettano a profitto la nostra identificazione in una categoria “subalterna”, elaborando i nostri dati per venderci prodotti pensati ad hoc per la nostra condizione di oppressi e di militanti.
 

Slideshow per novelli attivisti su Instagram.

La coscienza è sempre in movimento e la nostra consapevolezza deve diventare abbastanza agile da poter evolvere di conseguenza, in primis proprio per non farci categorizzare e catturare dallo sguardo preciso degli algoritmi del capitale. La psichedelia ci fornisce una palestra cognitiva per prepararci a questo atto politico: 

«L’abitudine ottunde la percezione e la vivacità mentale, ci rende efficienti ma ripetitivi e poco disposi all’imprevisto: gli psichedelici aggiungono entropia e libertà nei movimenti delle nostre sinapsi riavvicinandoci alla freschezza e alla plasticità del cervello dei bambini e dei creativi». 

Hugo Ball, fondatore di Dada, citato da Edoardo Camurri in questo articolo, evoca preoccupazioni simili: 

«Domina una specie di fatalismo economico che assegna a ogni individuo, che voglia o meno opporre resistenza, una determinata funzione, e con ciò un interesse e il suo carattere [...] La domanda più profonda, giorno e notte, è: esiste da qualche parte un potere, sufficientemente forte e soprattutto vivo, che possa annullare questa condizione? E se no, come ci si può sottrarre a ciò?».

Può essere la psichedelia questo potere? 

Una nuova cura


Mark Fisher è stato tra i principali osservatori e critici del trattamento che il capitalismo riserva alle questioni di salute mentale. Sin dai tempi del blog e poi con Realismo Capitalista, egli ha sempre espresso dure parole sulla privatizzazione delle questioni di salute mentale e sull’assenza di un paradigma sociale nei confronti della cura. Ecco, secondo me non è implausibile che nel suo interesse rinnovato per la psichedelia, Fisher abbia visto un’altra via possibile all’approccio della salute mentale. Come sappiamo, ormai da un decennio, gli psichedelici stanno venendo riscoperti come trattamento per depressione, dipendenze e altri disturbi. Questi nuovi metodi promettono un cambio di paradigma rispetto al corrente sistema farmacologico, di cui Fisher era aspro detrattore. Ecco, se da una parte gli psichedelici possono essere letti come l’ennesimo palliativo per sopportare la vita sotto un sistema ingiusto, dall’altrocredo che Fisher possa aver visto in questa cultura una nuova idea di cura radicale, un qualcosa che potrebbe sposarsi con le istanze critiche e riformiste del movimento anti-psichiatrico, che egli ben conosceva.

Nei suoi ultimi mesi, immagino Mark tracciare una connessione che lega proprio l’anti-psichiatria europea, con la sua la critica all’istituzione del manicomio, al movimento psichedelico d’oltreoceano, a Leary, Hofmann e tutti colore che hanno capito il potenziale terapeutico delle nuove molecole enteogene. Quest’alleanza è in realtà raccontata da Piero Cipriano, etno-psichiatra italiano, che elabora una controstoria della psichiatria a partire dal rimosso psichedelico e che specula sull’aleanza possibile tra la critica politica della malattia mentale con un nuovo paradigma di cura che possa rimpiazzare il “manicomio chimico” in cui siamo finiti nell’epoca degli psicofarmaci. 
Si tratta di una suggestione ma io credo che Fisher abbia visto qualcosa di simile, una psichedelia politicizzata e anti psichiatrica che faccia saltare il banco del manicomio chimico e della malattia mentale diffusa. Una rivoluzione terapeutica e culturale verso il Comunismo Acido.