>REINCANTAMENTO - Research & Publishing Group on Magic, Society and Technology. Always Open Source and Eternally Work-In-Progress ✦

REINCANTAMENTO


✦ Research & Publishing Group on Magic, Society and Technology
Always Open Source and Eternally Work-In-Progress ✦

Note sparse sui Giardini Digitali



Come spiegato nella sezione About, lo spazio web di REINCANTAMENTO segue nel suo sviluppo il concetto di Giardino Digitale. Oltre ad aver ispirato il sito, quello di giardino digitale è un concetto che che si interseca con quello di reincantamento: è un modello (per quanto sia ingiusto definirlo tale) che ha il preciso obbiettivo di riportare la magia, il divertimento e l’esplorazione all’interno dell’esperienza web. Non potevamo perciò non approfondire il tema. Lo facciamo con quello che non si può definire un vero articolo ma che vuole essere piuttosto essere un percorso attraverso diverse fonti ipertestuali e che speriamo possa fornire risorse conoscitive utili.

Ascolto consigliato per la lettura: Arman Doley di Mamman Sani


Il primo approccio all’idea di giardino digitale mi è arrivato attraverso questo articolo del MIT. Secondo l’articolo, il più vecchio accostamento tra un giardino e un sito web risale al lavoro di Mark Bernstein nel 1997. Bernstein, all’epoca del primo internet, già parlava di Hypertext Gardens, seppur in un senso diverso rispetto a quello che usiamo noi oggi. Infatti come rileva la cruciale storia di Maggie Appleton:

“Mentre il saggio è una bella ode all'esplorazione libera di internet, è meno sulla costruzione di spazi internet personali, e più un manifesto sui flussi di esperienza degli utenti e sull'organizzazione dei contenuti”.




Bernstein apprezza il giardino come via di mezzo tra la natura selvaggia di una foresta e l’ambiente antropico di una fattoria: secondo l’autore, è proprio questa apertura all’Altro, al ‘selvaggio’, che può essere utile nel processo di costruzione di un ipertesto. In questo modo, si evitano gli svantaggi che l’imposizione di una rigida strutta ipertestuale porta sul contenuto (secondo la seconda lezione di giardinaggio di Bernstein):

“La struttura rigida di un ipertesto è costosa. Invitando ripetutamente i lettori a lasciare l'ipertesto, concentrando l'attenzione e il traffico sui centri di navigazione, e allontanando il contenuto dalle pagine chiave (e dal traffico), una struttura rigida può nascondere il messaggio di un ipertesto e distorcere la sua voce.”

Sono preoccupazioni tipicamente anni ‘90, in cui si cercava ancora di trovare il bilanciamento ideale per la progettazione di una pagina Web ideale. Ma continuiamo a seguire la Appleton nella sua storia dei giardini per arrivare alla comprensione moderna del termine.

Il mattone successivo è un saggio risalente al 2015, The Garden and the Stream: A Technopastoral di Mike Caufield. Un commento risalta immediatamente: “Il fascino qui sta nel costruire la complessità, non nel ridurla.” L’idea di creare pagine che sono gomitoli di complessità e di differenze è fondamentale se si vuole costruire qualcosa di diverso rispetto al mondo semplificatorio e banale dei social: raccogliere link, fonti, studi, musica, immagini e video per poter fornire una rappresentazione prismatica di ciò che si vuole rappresentare. Se ci pensiamo, l’esperienza di visitare una pagina online ben fatta, coincide sempre con la parallela apertura di altre schede a fianco di quella visitata; leggere un longform o un’intervista online non è la stessa cosa che leggere un libro proprio per questo motivo: la deriva verso altri link che la lettura online (e, più in generale, la navigazione) permette è la sua caratteristica specifica e inimitabile in opere non ipertestuali. Senza dubbio, questa esperienza di passeggiata virtuale attraverso i link più disparati ha un potenziale alternativo rispetto al compulsivo scrollare che si è fatto spazio negli spazi più commerciali di Internet.


Descrivi la parola ‘Technopastoral’ in una foto

Questa vecchia recensione sul Manifesto di un libro di Alberto Donzelli, conservata in un archivio online, ci ricorda che “non c’è nulla di più sovversivo , di più alternativo al modo di pensare e di agire oggi dominante che il camminare” e che “camminare è uno straordinario esercizio di libertà”. Poco importa se Donzelli opponesse questo camminare alla tecnica, l’idea di Giardino Digitale di cui stiamo parlando vuole invece includere la potenza del passeggiare attraverso i costrutti della tecnica come le pagine Web. Caufield oppone al Giardino proprio il Flusso, lo stream continuo, con cui funzionano i social, le notizie online etc.

“Il Giardino è il web come topologia. Il web come spazio. È il web integrativo, il web iterativo, il web come disposizione e riorganizzazione delle cose le une alle altre. Le cose nel Giardino non collassano in un unico insieme di relazioni o sequenza canonica, e questo è parte di ciò che intendiamo quando diciamo "il web come topologia" o il "web come spazio". Ogni passeggiata nel giardino crea nuovi percorsi, nuovi significati, e quando aggiungiamo cose al giardino le aggiungiamo in un modo che permette molte relazioni future e impreviste”

Dall’altra parte invece il Flusso:

“Nella metafora del flusso non si sperimenta il flusso camminando intorno ad esso e guardandolo, o seguendolo fino alla sua fine. Ci si butta dentro e lo si lascia scorrere. Senti la sua forza che ti colpisce mentre le cose galleggiano. [...] Non è che sei passivo nel flusso. Puoi essere attivo. Ma le tue azioni lì dentro - i tuoi post sul blog, le menzioni @, i commenti sul forum - esistono in un contesto che è collassato in una semplice linea temporale di eventi che insieme formano una narrazione. In altre parole, lo Stream sostituisce la topologia con la serializzazione. Piuttosto che immaginare un mondo senza tempo di connessione e percorsi multipli, il flusso ci presenta un singolo percorso ordinato nel tempo con la nostra esperienza (e solo la nostra esperienza) al centro. Mentre il giardino è integrativo, lo Stream è auto-assertivo. È persuasione, è argomentazione, è difesa. È personale, personalizzato e immediato. È rinvigorente. E come vedremo tra un minuto è anche profondamente inadatto ad alcuni degli usi che ne facciamo.”

Il Giardino di Caufield riporta in vita l’originale visione del Memex di Vannevar Bush, un macchinario immaginato nel 1945 dall’ingegnere statunitense in questo articolo sull’Atlantic, intitolato As We May Think. Bush immagina per molti aspetti il computer moderno ma al tempo stesso, ed è quello che rileva Caufield, il condizionale del titolo è ancora un condizionale: non pensiamo ancora come potremmo pensare qualora avessimo davvero implementato il macchinario ipertestuale raccontato da Bush.

“Appariranno forme completamente nuove di enciclopedie, già pronte con una rete di percorsi associativi che le attraversano, pronte per essere inserite nella memoria e lì amplificate.”


Per Bush potremmo arrivare a ragionare attraverso percorsi paralleli e imprevisti, inventando un modo nuovo di tracciare rotte nelle nostra conoscenza. Invece, ci ritroviamo in una situazione diamentricalmente opposta a quella immaginata dal Memex, come spiega Caufield:

“Così nel 2006 circa Twitter, Facebook e altri siti passano a un modello direttamente ispirato a questa combinazione di pagina personale + lettore di feed. Hai una pagina che ti rappresenta, in un flusso cronologico inverso - la tua pagina Facebook o la home page di Twitter. Le pagine delle persone con cui sei amico vengono aggregate in un feed serializzato e ordinato nel tempo. Il tuo flusso diventa il tuo contesto e la tua interfaccia.
E vediamo questo svilupparsi nel web come lo conosciamo oggi. Una rete di link su cui cliccare una volta: "hey questo è figo". Un web in cui i link sono usati per creare una traccia conversazionale (una sorta di link "leggi questo se vuoi capire su cosa sto riffando") invece di associazioni di idee. [...] Il "web conversazionale". Un web ossessionato dai punti di discussione. Un web visto come uno strumento di auto-espressione piuttosto che uno strumento di pensiero. Un web in cui si saldano informazioni e dati nei propri argomenti in modo che non possano mai essere riproposti contro di voi. Il web non come un modello riconfigurabile di comprensione ma di presentazioni sigillate E’ un web che può essere bello ed è ancora bello in tanti giorni. Non lo sottolineerò mai abbastanza. Non sono qui per seppellire lo Stream, io amo lo Stream. Ma è un'esperienza incompleta, ed è ora di rimediare.”


Caufield poi sottolinea l’importanza di imparare a usare degli strumenti per poter costruire davvero i propri giardini. Si tratta di un punto centrale. L’idea di ‘sporcarsi le mani’, di disseminare le conoscenze di quello che ho chiamato artigianato digitale, e che si compone di una serie (potenzialmente infinita) di abilità - scrittura, design, codice etc. - ha anche un certo valore politico. Sono convinto che soltanto attraverso una disseminazione delle conoscenze e delle abilità tecniche si potrà mettere in discussione il monopolio dei giganti online. Sono convinto che senza un’adeguata consapevolezza e coscienza tecnica, saranno poche le persone in grado di adottare (e costruire) le alternative software e hardware al predominio corporativo e che già esistono, come sottolinea Giulio Quarta:



Ma torniamo ai nostri giardini. Un altro principio (sempre che di principi si possa parlare) dei giardini digitali è che “la curatela viene prima dell’ordine cronologico” per usare le parole di Joel Hooks, giardinaio digitale e autore di questo post dal titolo molto chiaro. Hooks spiega che:

“La gente non usa internet attraverso pagine di post ordinati cronologicamente. Per la maggior parte usiamo la ricerca tramite Google per trovare qualcosa, che è in forma libera e orientata al compito. Vuoi qualcosa, sai cosa vuoi, puoi mettere insieme qualche parola e sperare di avere fortuna.”

Le parole di Hooks mi impongono una riflessione sull’architettura del mio giardino. Nella sua costruzione infatti, non ho seguito totalmente questo principio perché ho ritenuto che la cronologia potesse essere ancora un metodo efficace per strutturare i contenuti. Tuttavia, quando trovate due chiavi che scorrono sotto un articolo potete seguire un percorso di lettura consigliato, che connette tra loro articoli scritti in periodi diversi e pubblicati in angoli diversi del Web. Mi sembra che nel costruire un giardino digitale sia difficile trovare il giusto equilibrio tra caos e ordine, tra associazione ‘magica’ ed estetica e funzionalità pura o, per dirla in un’altra maniera, tra foresta selvaggia e ambiente antropizzato. In un giardino: “Le cose sono organizzate e ordinate, ma con un tocco di caos intorno ai margini.”

Nel caso del sito che state visitando la parte più selvaggia è sicuramente il Garden, chiamato così perchè è il vero luogo dove sono seminati quasi quotidianamente semi e spunti soprattutto di natura visiva (ma anche citazioni, video, poesie etc.). Filosoficamente, ho sempre creduto nella potenzialità del caos e, al tempo stesso, penso che attraverso la pratica dell’accostamento e dell’analogia si possa anche sviluppare qualcosa di più compiuto, un ‘pensiero’ in senso proprio’. Per questo, il Garden è anche profondamente debitore dell’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, una tavola di immagini (Bilderatlas) strutturata dal critico d’arte tedesco per studiare il destino delle forme e di altre componenti visive attraverso la storia umana. Warburg accostava pubblicità e ritagli di giornale con i classici della pittura rinascimentale e tanto altro ancora, come spiega Engramma, fondamentale risorsa per warburghiani. Il lavoro di Warburg è stato anche ripreso dal collettivo Clusterduck (il cui sito ufficiale è pienamente un giardino digitale) nella creazione del loro Meme Manifesto, uno studio totale della produzione memetica dei nostri tempi.


Oltre a questa ispirazione concettuale, un’influenza più diretta viene dall’estetica dei blog di Tumblr, che, a cavallo tra gli anni ‘00 e gli anni ‘10, hanno offerto uno spazio di libertà ed espressione ai loro utenti molto diverso da quello dei Twitter e dei Facebook. Una libertà che veniva in primis dalla possibilità di poter modificare liberamente il codice del proprio blog, rendendo la propria pagina personale uno spazio su cui agire e non una scatola nera statica.

L’ultimo testo a tema giardini digitali a cui mi voglio rivolgere è Digital Garden Terms of Service. C’è un passaggio di questo scritto che spiega a chiare lettere quale è stata sin dall’inizio la mia idea con il progetto REINCANTAMENTO:

“Un giardino digitale è un posto tutto tuo (spesso un blog, o un account twitter) per piantare pensieri incompleti e note disorganizzate in pubblico - l'idea è che queste siano cose sempreverdi che crescono come fa il tuo apprendimento, riscaldate dall'attenzione costante e alimentate dalla luce del giorno inequivocabile della revisione tra pari.”

Questa ‘etica dell’incompletezza’, che si esprime in una tendenza a pubblicare i work-in-progress, deve essere accompagnata da una critica costante da parte del ‘pubblico’. Secondo l’articolo, tale critica va fortemente incoraggiata e richiesta, quasi a voler dimostrare quanto siano (fieramente) incompleti, fragili e imperfetti i giardini digitali. Questa è un’altra differenza con i social, dove mi sembra invece che l’etichetta imponga sempre di mostrarsi molto sicuri e fieri del proprio lavoro, in un ambiente di performatività e competizione costante. Alla progressiva professionalizzazione dello stare su Internet, il giardino digitale risponde con un’atteggiamento misto che unisce ciò che è “intimo” con ciò che è “pubblico”, una componente “strana” con una familiare e accogliente. Se i social invitano all’uniformità, all’adozione di una voice univoca e sempre riconoscibile, i giardini sono figli dell’ibridazione e dell’eterogeneità. Ci piace pensare ai giardini come a una terapia, un tentativo di curare alcune dinamiche tossiche del mondo online cambiando il nostro rapporto col medium digitale. Sono le parole di Gilles Clément, citate dal filosofo italiano Tommaso Guariento nella sua storia dei giardini, a riassumere l’ethos e il potenziale del giardinaggio:

La terapia naturale del giardinaggio viene dal tempo sospeso, dal tempo che non si domina e che, anzi, in certo qual modo è quello che ci tiene in piedi. Quando si mette un seme nella terra, con esso è un divenire che si annuncia, mentre il passato si cancella; la nostalgia non ha senso nel giardino. Il giardino è un luogo privilegiato del futuro, un territorio naturale della speranza

Non ci resta che augurarci allora che mille giardini digitali possano sorgere e occupare l’orizzonte del Web di domani.