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REINCANTAMENTO


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Utopia, Alchimia, Post-Scarsità






“Egli va per le strade nelle notti d’inverno, senza dimora, senza vestiti, senza pane; e vuole l’oro.”
Pier Paolo Pasolini, La divina Mimesis

Nel libro Alchimia e Utopia, il grande pensatore eretico Luciano Parinetto traccia una retta tra le pratiche degli alchimisti e il desiderio di un mondo migliore: le ricerche alchemiche hanno alimentato un immaginario di speranza e di futuro che poi si è trasposto, lungo l’arco di secoli, nel pensiero rivoluzionario e nel movimento operaio. In questo senso, l’alchimia è una di quelle radici “alternative” della lotta all’emancipazione, di cui parla Erica Lagalisse in Anarcoccultismo, recentemente pubblicato in ItaliaQuesto numero di Speculum, dedicato proprio all’utopia, ci è sembrato essere il (non)-luogo adatto per un’archeologia di questa disciplina millenaria.

Secondo la definizione più comune, l’alchimia è una disciplina esoterica che unisce metallurgia, filosofia, fisica, astrologia e che ha come scopo principale la ricerca di una Verità superiore, incarnata materialmente nella famigerata Pietra Filosofale. L’alchimia ha lasciato numerose tracce nelle arti, dalla cultura pop (quel capolavoro di Full Metal Alchemist) alla pittura, Hieronymus Bosch per esempio usava simboli alchemici nei suoi dipinti.

Sebbene sia un’arte antichissima, l’alchimia divenne davvero diffusa e discussa in Europa soltanto a partire dal XIV secolo fino, circa, al XIX secolo: fu una “moda” che riguardò tutti i paesi europei e attraversò l’intero spettro delle classi sociali. Non per questo, l’alchimia veniva considerata con benevolenza e, anzi, l’associazione con la follia era cosa comune: «Abati, vescovi, medici, eremiti [...], tutti se ne occuparono; era la pazzia del giorno e si sa che ogni secolo ha la propria; [...]» (citato da Parinetto). Esiste tutta un’analogia, evidenziata magistralmente da Parinetto, tra la rappresentazione dei “folli” e quella, denigratoria, degli alchimisti, tanto che, c’è chi è arrivato a identificare la “pietra della follia” - radice della malattia mentale secondo la sapienza del tempo - con la Pietra filosofale ricercata dagli alchimisti. Lo dimostra anche il tarocco numero 0, “Il Folle”, che viene anche chiamato l’Alchimista.
Folli, ladri, cultori del demonio, falsari (secondo l’Inferno di Dante): diverse sono state le accuse che hanno riguardato i praticanti dell’alchimia nel corso dei secoli e che li hanno relegati nella marginalità sociale (con qualche eccezione). Parinetto riporta un mito greco - giunto a noi tramite Paracelso - sull’origine dell’alchimia, che pare riassumere tutte le connotazioni negative legate alla disciplina:

Alcuni angeli si innamorano delle donne. Discesero sulla terra e insegnarono loro le operazione della natura. È di loro che la Bibbia disse che coloro che divennero orgogliosi furono cacciati dal cielo, perché avevano insegnato agli uomini ogni cosa malvagia inutile all’anima. Sono essi che hanno composto le opere e da loro proviene la prima tradizione di queste arti. Il loro libro viene chiamato Koumou ed è da esso che la Koumia prende il nome“ 

Angeli caduti in Terra perché sedotti dal femminile: il diavolo e il femmineo che convergono per dare vita ad una disciplina malefica che vuole manovrare la Natura. Il coup de theatre di Parinetto è ribaltare l’idea che abbiamo sugli alchimisti, di questi dimenticati dalla storia, folli decapitati dalla scure della Chiesa prima, e da quella dei Lumi, poi. Come le streghe di Silvia Federici, gli alchimisti di Parinetto sono più vicini che mai alle nostre lotta per la libertà e l’emancipazione, pionieri sui generis delle utopie marxiste e della fantascienza.

Cosa sognano gli alchimisti?

L’utopia alchemica è un’utopia prometeica che mira ad instaurare un rapporto trasformativo con la natura e con la materia per arrivare a trasformare lo stesso alchimista. Un processo pratico e conoscitivo che vuole scatenare la tensione presente nella materia per rilasciare un’energia di liberazione: “Poiché anche la materia soffre, lotta e tende, come noi, verso la perfezione e grida: Aiutami ed io ti aiuterò; liberami e io ti libererò“ (Alleau, Aspects).

L’alchimia, in modo simile alla gnosi o alla psichedelia, vuole portare l’uomo ad un nuovo livello di “illuminazione”, alla quale si arriva tramite un duro praticantato e anche un certo isolamento. In qualche modo gli alchimisti erano effettivamente degli ‘emarginati’, non solo per questioni sociali, ma proprio per il processo trasmutativo a cui loro stessi si sottoponevano.

È chiaro che, in Europa, tutto questo abbia conflagrato con l’autorità costituita per eccellenza: la Chiesa. In tale scontro, alle accuse tremende che vengono portate contro di loro, gli alchimisti rispondono con la forza della dissidenza che sarà propria di tanti movimenti successivi. Parinetto sottolinea come l’alchimia utilizzi sovente e, aggiungerei, con coraggio, metafore cristiane ma lo faccia adattandole al proprio linguaggio: per esempio, il Cristo, per chi conosce i codici ermetici e segreti dell’alchimia, rappresenta l’elemento del mercurio. Il ribaltamento del cristianesimo è centrale per tutta l’alchimia, essa ha inarcato un desiderio utopico che sarà proprio dei grandi movimenti rivoluzionari: realizzare in terra il regno dei cieli, liberare corpi e menti ora senza aspettare una meta trascendente.

Un altro esempio di ribaltamento è quello che viene fatto nei confronti dell’idea di incesto (a livello simbolico). In un testo importante per l’alchimia come Le dodici chiavi di Basilio Valentino, viene raccontato il mito greco di Orfeo ed Euridice con una variazione: i due sono fratello e sorella e non riescono ad avere figli. Orfeo viene visitato da Febo, un messaggero alato, che gli propone una soluzione al suo problema: egli dovrà mescolare il suo sangue e quello della sua sposa con quello del cuore del padre e della madre e mescolare il tutto nel globo dei sette saggi, così realizzerà la nascita del “figlio nuovo tre volte grande” . Ripetendo molte volte l’operazione, la stirpe di Orfeo si moltiplicherà all’infinito e otterrà ricchezze e potere, fino ad arrivare a “possedere il regno celeste del creatore dell’universo”.

Abbiamo diversi elementi in gioco qui. Innanzitutto, l’incesto - la cui condanna è centrale nella morale cristiana - viene considerato qualcosa di positivo e vibrante di possibilità, che genera potenza e ricchezza. La promessa fatta da Febo ricorda, blasfemamente, il patto tra Jahwe ed Abramo (il cui nome in ebraico significa “padre di molti”) che darà vita alla sua stirpe: questa volta però siamo davanti ad un atto di affermazione umana, tramite l’operazione alchemica, che porta la fecondità e la prosperità nel mescolamento del sangue incestuoso. L’incesto è, almeno nel mondo cristiano, uno dei primi limiti che l’uomo pone tra ciò che è “naturale” e ciò che invece cade dall’altra parte della barricata, nell’innaturalità e quindi, nel peccato. Per gli alchimisti, invece, la natura è la totalità dell’esistente e nulla di ciò che esiste cade fuori dal suo regno. L’alchimia ricorda l’ontologia di Baruch Spinoza, secondo cui, tutto ciò che esiste è naturale e nulla può davvero aver luogo fuori da questa idea.

Infine, questo ribaltamento di Orfeo ed Euridice è un altro modo per raccontare uno dei contenuti più importanti della tradizione alchemica: la creazione dell’homunculus, frutto di questo incesto creatore. Si tratta dell’idea, risalente di nuovo a Paracelso, di poter creare un uomo in provetta tramite la potenza delle operazioni alchemiche. La volontà creatrice degli alchimisti è già un affronto al Dio creatore dei monoteismi, che detiene il monopolio sulla generazione di nuove vite. Oltre ad essere un tema che l’umanità ha affrontato e affronterà nei secoli successivi (clonazione, nascita in vitro etc.), il nuovo figlio artificiale (ma in realtà anche questa è natura) degli alchimisti  sarà “tre volte grande” e quindi addirittura migliore della creazione di Dio che è l’uomo stesso, fino ad arrivare a “conquistare” il regno celeste. L’uomo vince la sfida contro Dio grazie alla sua capacità poietica: è una trasmutazione dei valori in piena regola, che anticipa di diversi secoli l’annuncio nietzschano della morte di Dio o l’utopia dei Costruttori di Dio di Lunačarskij, e che alimenta nell’immaginario i sogni rivoluzionari che avrebbero tormentato la società nelle epoche successive.

Come spiega Michela Pereira in Arcana Sapienza: «Il segreto dell’alchimia non risiede in un contenuto che possa essere oggettivato [...] Il “segreto del segreto” è l’idea che l’incorruttibilità e l'immortalità cui l’umanità aspira e che le tradizioni religiose collocano nel mondo trascendentale (nell’”altra vita”), possano essere prodotto dal lavoro umano in questo corpo, in questo mondo». Gli alchimisti, per citare Nanni Balestrini, volevano tutto, e il loro lavoro, il compimento dell’Opus, fu un processo lungo secoli che sviluppò idee alternative a quelle dominanti. Per questo, l’alchimia viene paragonata da Luciano Parinetto alla talpa di Karl Marx, invocata in un celebre passo del filosofo tedesco, che rappresenta la rivoluzione: non un animale possente che affronta i suoi nemici in campo aperto ma un animale paziente che scava infaticabile verso la propria meta, fino al giorno in cui emergerà in superficie.

Il rebis - potenza dell’androgino ermetico



Il Rebis è una figura tipica dell’iconografia alchemica: un simbolo androgino che unisce l’uomo e la donna in una coincidentia oppositorum che supera le opposizioni duali. Il Rebis è un emblema dell’Opera alchemica, il superamento delle differenze unilaterali in una celebrazione dell’univocità della materia. E ciò avviene tramite l’unione dei due sessi perché la materia dell’alchimia va considerata come una materia vivente, un proliferare di flussi energetici e di libido: l’alchimia riconosce l’importanza di temi come il sesso o il desiderio. Il Rebis celebra le potenzialità del naturale, che mai si esaurisce. Si dice che il Rebis sia figlio dell’Ouroboros, il serpente che impregna sé stesso: di nuovo la trasvalutazione di un atto considerato innaturale che qui viene celebrato come donatore di vita.


Anche per questo, l’alchimia è stata studiata da diversi psicoanalisti nel XX secolo, da Carl Jung in poi: la disciplina alchemica è già un primo tentativo di elaborare alcuni temi dell'inconscio e dello sviluppo sessuale. Il Rebis esprime la potenza proteiforme dei concetti alchemici, capaci di dissolvere le opposizioni e di visualizzare effettivamente un uomo nuovo, a partire dalla sua formazione. La speranza ontologica dell’alchimia si basa su una concezione vitalistica della materia, considerata un humus ribollente e carico di possibilità, associato a Lucifero invece che a Dio, simbolo dell’immobilità celeste. Allora, la pietra filosofale, culmine del processo alchemico, viene considerata da Jung “la concretizzazione, una materializzazione che attinge il piano inferiore del regno oscurissimo, inorganico, della materia, a meno che addirittura non ne provenga”. La Pietra veniva rappresentata tramite una figura vivente perfetta e androgina (l’Homunculus di cui sopra), padre e madre di una stirpe di (super)uomini a venire.

L’alchimia, anticipando di nuovo lo Zarathustra, riscatta la Terra. Scriveva Nietzsche: “Rimanetemi fedeli alla terra, fratelli, con la potenza della vostra virtù! Il vostro amore che dona e la vostra conoscenza servano il senso della terra. Così vi prego e vi scongiuro. Fate che essa non voli via dalle cose terrene e vada a sbattere con le ali contro muri eterni!”. Un passo che risuona con il classico alchemico Chimico crivello di Parafraste Ocella, citato da Parinetto: “La terra (...) ben la sappiamo essere l’unica a non mai adirarsi con l’Uomo; a sempre, anzi, gratificarselo. (pg.337-9). Un’altra connessione: Nietzsche chiamava il suo Zarathustra una “pietra filosofale”. L’alchimia esprime una forma di amore per la vita materica e terrena dell’uomo: laddove il Cristo predicava la separazione tra vita terrestre e vita celeste, l’alchimista cerca invece l’accettazione e l’affermazione della terra così come del cielo.

La vera vita della materia la si coglie soltanto sporcandosi le mani nel lavoro con essa: vera poetica del lavoro, l’alchimia cerca di superare anche la scissione tra teoria e pratica, in un lampo di marxismo ante-litteram:
“La scienza alchemica non si insegna; ognuno deve apprenderla da se stesso, non in maniera speculativa, ma con l’aiuto di un lavoro perseverante [...] Colui che teme il lavoro manuale, il calore dei forni, la polvere del carbone [...] costui non saprà mai nulla” (Fulcanelli, Les Demeures).

L’alchimia è una praxis e senza la praxis rischia di rimanere lettera morta: soltanto impegnandosi e faticando nel lavoro, potremo invece superare la vita alienata del presente.

Parinetto registra un uso del termine alienazione nel linguaggio alchemico (“alienati sumus” si dice nel Crater Hermetis) che potrebbe aver influito i filosofi che in seguito lavorarono su questo concetto - Rousseau, Hegel, Marx. Si dice ‘alienato’ l’uomo respinto dall’armonia naturale, ma ‘alienare’ è anche un termine tecnico dell’alchimia per indicare la trasmutazione: in questa surdeterminazione dei significati, l’idea di alienazione inizia ad assumere la forma ambigua che avrà nella filosofia illuministica e marxista:
«divenir altro in senso positivo (trasmutazione/trasformazione in meglio) e divenir altro in senso peggiorativo, di decadenza, appunto, allo stato di alienazione.»

L’utopia degli alchimisti è dunque un’utopia prometeica, che esalta i poteri dell’uomo di modellare la realtà a proprio piacimento.


Prometeo è forse il primo alchimista della storia perché, secondo Eschilo, scopritore dei metalli come il ferro e l’oro, oltre che sperimentatore tecnologico per eccellenza.

Non per questo dobbiamo considerare l’alchimia una volontà di dominazione sul mondo esterno: l’alchimia anzi presenta un carattere che potremmo oggi definire ecologico. Nel futuro sarà l’intera natura, e non solo l’uomo, ad essere redenta. L’alchimista, creerà una nuova terra e un nuovo cielo, come fece Dio, e lo farà nel rispetto dell’armonia cosmica che egli ha colto attraverso i suoi studi sui simobli e sulle analogie. L'alchimia è profondamente conscia del divenire che continuamente attraversa il mondo naturale, il quale muta continuamente e ribolle di processi attivi. Parinetto si accosta ai testi di Ernst Bloch sull’utopia come chiave di lettura di alcuni tratti dell’utopia alchemica. Bloch coglieva un cosmo ancora in divenire, affrontato dalla chance dell’alchimia: «La possibilità non si è ancora esaurita. La possibilità è una singolare categoria del gigantesco laboratorio che è il mondo, laboratorio di una possibile salvezza, tormentatissimo laboratoriu possibile salutis» (Bloch, Marxismo e utopia). La natura come processo sempre incompiuto, che può regalare gioie e prosperità agli uomini se colta nella sua dimensione armonica e libera, vitale e non puramente meccanica. 

L’utopia alchemica ha per noi un valore immaginativo, uno “schizzo, qualche cosa di aperto e non del tutto circoscrivibile”, che alimentò i sogni ad occhi aperti e le speranze per il futuro lungo tanti secoli di civiltà medievale e Rinascimentale. Lungo tutto questo periodo, il linguaggio alchemico è parte di ogni progetto riformatore e rivoluzionario: i Rosacroce, gli anabattisti, il misticismo di Meister Eckhart sono tutti stati influenzati dai codici alchemici e dall’idea di rigenerazione spirituale e materiale. E di nuovo Ernst Bloch che arriva a vedere l’alchimia come radice dell’Illuminismo: nelle società segrete ermetiche, in Inghilterra e in Germania, dove l’alchimia superiore veniva insegnata, si sviluppano le idee utopiche di uguaglianza e libertà universali. Il corpus alchemico riserva un particolare focus al tema dell’uguaglianza e alla distribuzione della ricchezza, tanto che esso sembra prefigurare, per restare in tema utopico, le idee del movimento per una società post-scarsità. Un mondo in cui la produzione di beni e informazioni è così abbondante e richiede così poco impiego da rendere questi beni economici, se non gratuiti. Uno scenario futuro che ricorda il sogno della pietra filosofale alchemica e che, proprio come il lavoro degli alchimisti, passa dal nodo centrale della distribuzione. Lo dice il De Secretis Naturae, importante testo alchemico attribuito al Villanova: «Solo consegnando ai poveri ciò che ottiene con la sua tecnica guidata da Dio, l’alchimista può conseguire la propria pienezza spirituale nell’arte». E molte altre sono le citazioni di questo tipo nel corpus alchemico.


L’alchimia come proto-utopia, come “Weltanschauung riformatrice”, sparge i suoi semi in tutta Europa: semi da cui nasceranno le rivoluzioni e le riforme dei secoli successivi. Il libro di Luciano Parinetto è un invito a “guardare le mitologie che ci abitano”, che riesce a riabilitare l’immagine dimenticata e bistrattata dell’alchimia per inquadrare come radice fondamentale e pulsante dei movimenti rivoluzionari e delle loro utopie. Una disciplina che più di tutto ha prodotto speranza, dalla natura lucifera nel vero senso del termine, a cui va dato il merito di aver tenuto acceso un fuoco prometeico nelle notti più lunghe dell’umanità. Nigredo est albedinis principium.